I rifiuti come risorsa. L’Italia segua l’esempio tedesco.

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La produzione di rifiuti rappresenta una grande risorsa, è quindi fondamentale implementare corretti e moderni sistemi di gestione e smaltimento (waste management) a livello nazionale e locale, in linea con i migliori esempi europei. La gestione integrata dei rifiuti urbani in Italia vive negli ultimi decenni un processo di transizione nel tentativo di raggiungere obiettivi industriali, secondo un approccio internazionale, volti a sviluppare grandi player privati che consolidino un settore molto frammentato ed essenzialmente in mano pubblica agli Enti Locali. Superando tra l’altro i numerosi limiti culturali legati al “fenomeno del Nimby” (“Not in my backyard”) da parte delle comunità locali, le quali spesso si oppongono tout-court alla realizzazione di infrastrutture di termovalorizzazione necessarie e tendenzialmente sicure. Infatti secondo l’Osservatorio Nimby Forum ben il 30% delle proteste anti-infrastrutture in Italia è legato direttamente agli impianti di termovalorizzazione. Il servizio di raccolta e smaltimento dei rifiuti solidi urbani rappresenta infatti un sistema a filiera complessa (c.d. “ciclo integrato dei rifiuti”), in cui alle esigenze di mantenimento dell’igiene urbana si somma l’obiettivo di contenere l’impatto ambientale. Promuovendo la riduzione dei rifiuti prodotti, la raccolta differenziata delle diverse frazioni, il riciclo, il recupero di energia, e quindi, come estrema ratio, lo smaltimento in discarica. L’obiettivo principale a livello nazionale e locale resta quello di conferire in discarica il minor quantitativo possibile di rifiuti, c.d. obiettivo “discarica zero”, in linea con le prescrizioni comunitarie in materia (Waste Framework Directive 2008/98/EC), provvedendo ad uno smaltimento dei rifiuti il più possibile attraverso la raccolta differenziata ed il compostaggio per quanto riguarda i rifiuti riciclabili, ed attraverso la termovalorizzazione dei rifiuti non riciclabili (waste to energy) per creare elettricità ed energia termica.

Analisi del settore in Italia ed in Europa

Per quanto riguarda la raccolta differenziata dei rifiuti solidi urbani l’obiettivo fissato a livello comunitario è il 65%, mentre il Paese ha raggiunto oggi il valore assolutamente insufficiente di circa il 45% (13,4 mln/t), con una grande discrepanza tra Regioni virtuose principalmente nel nord Italia (Veneto, Trentino-Alto Adige, ecc.), che già hanno superato il livello target europeo, e Regioni molto in ritardo soprattutto nel centro-sud (Sicilia, Calabria, ecc.) che si attestano sotto il 20%. Riguardo poi la termovalorizzazione, definita “strategica” dallo “Sblocca Italia”, si riscontra una mancanza di investimenti e di infrastrutture, lontane dagli standard comunitari per numero, capacità ed efficienza. Tale limitazione del settore è dovuta al grande livello di polverizzazione e alle limitate dimensioni dei player di settore (i primi nove operatori italiani gestiscono solamente il 7% dei volumi totali), nonchè ad una proprietà generalmente pubblica in capo agli Enti Locali. Inoltre la disinformazione trasforma i termovalorizzatori, che in Europa e nel nord Italia sono mediamente sinonimo di progresso ed efficienza, in strumenti di inquinamento, teorizzando un’idea errata secondo cui l’intera produzione di rifiuti potrebbe essere recuperata grazie alla raccolta differenziata. Infatti la media europea di ricorso al waste to energy, in particolare nei paesi avanzati come la Germania (dove grazie ad una raccolta differenziata totale le discariche sono state praticamente annullate), è di circa il 30-35% della produzione totale dei rifiuti, mentre l’Italia è al 18%. L’incremento della raccolta differenziata è corretto, ma da solo non risolve lo smaltimento dei rifiuti, e le uniche alternative alla termovalorizzazione sono o le più inquinanti discariche (155 discariche italiane restano soggette a processi di infrazione della normativa UE), o il costoso invio dei rifiuti all’estero dove avverrà la termovalorizzazione e verrà prodotta energia con rifiuti “italiani”. Il risultato di tutto ciò è che in Italia si ricorre ancora in maniera dominante alle discariche, non sfruttando questa importante fonte di energia e contemporaneamente inquinando il territorio. Nel Paese, secondo i dati del Rapporto Ispra 2015 sui rifiuti urbani, si producono ca. 160 mln t/annue, tra solidi-urbani pari a circa il 20% (ca. 30 mln/t annue) e speciali pari all’80%, con 486,5 kg/annui di rifiuti solidi urbani per abitante (livelli superiori rispetto alla Germania con ca. 441 kg/annui e la Francia ca. 452 kg/annui). Rispetto all’obiettivo “discarica zero”, ci si trova quindi in una situazione critica poiché i rifiuti prodotti vengono interrati in discarica nel 49,2% dei casi. Secondo dati Eurostat in Europa la media di rifiuti destinati alle discariche è del 37%, con paesi virtuosi come la Germania (1%) e la Francia (28%), e paesi meno virtuosi quali UK (49%) e la Spagna (63%). Tale media nazionale italiana non rappresenta però le diverse realtà, viste Regioni virtuose con al massimo il 10% dei rifiuti in discarica (es. Lombardia, Veneto e Friuli-Venezia Giulia) e Regioni che praticamente interrano tutta la loro produzione di rifiuti (es. Sicilia, Calabria, Puglia e Molise). Inoltre in Italia non si è interrotto il binomio crescita produttiva-generazione di rifiuti (c.d. decoupling), registrando un incremento della produzione di rifiuti all’aumentare del PIL, a differenza di paesi come la Germania o la Svezia dove tale risultato si è raggiunto da un decennio. L’Italia si colloca a circa il 33% per riciclo e conseguente compostaggio, sotto della media europea pari al 40%, a causa di una dotazione impiantistica non adeguata e non moderna (nonostante le attività di raccolta differenziata siano avanzate in molte Regioni del centro-nord). Lo stesso può dirsi per il sistema di termovalorizzazione nazionale che vede forti carenze infrastrutturali (nel 2014 sono stati trattati 6,4 mln/t di rifiuti, di cui 5,8 mln/t di rifiuti solidi urbani, per una produzione nazionale pari a 4,6 mln di MWh). Con un numero limitato di termovalorizzatori pari a circa 50 impianti tra già attivi (44 per circa 82 linee di produzione), in via di realizzazione (4) e autorizzati dallo “Sblocca Italia” (12), salvo ricorsi regionali, rispetto agli oltre 130 della Francia e agli oltre 70 della Germania. La loro capacità è poi inferiore (media di 100k t/annue) rispetto ai partner europei (154k t/annue in Francia e 429k t/annue in Germania). Ciò determina una capacità di termovalorizzazione dei rifiuti solidi urbani prodotti per abitante ampiamente deficitaria (circa il 24%), e, in mancanza di un riciclaggio elevato, si ricorre alle discariche. Mentre in Francia la capacità di termovalorizzazione è dell’85% ed in Germania del 101%, ossia teoricamente tutti i rifiuti prodotti dalla popolazione potrebbero essere smaltiti dagli impianti di termovalorizzazione creando energia. L’Italia vive quindi in uno stato di costante emergenza ambientale, soprattutto nei grandi centri urbani del centro-sud (Napoli, Palermo, Roma, ecc.) ma anche in aree del nord come la Liguria. La costruzione di nuove discariche e la proroga di quelle già esistenti comporta multe notevoli dall’Europa, e l’invio di rifiuti all’estero costringe a pagare tariffe molto alte traslate poi sugli utenti (la “Tari”, ex “Tares”). Nel 2007 il Comune di Napoli, in piena emergenza rifiuti, pagò ben 215 €/t per inviare i suoi rifiuti in Germania, contro una normale tariffa di conferimento in waste to energy di 100€/t. In particolare l’Italia esporta notevoli quote di rifiuti all’estero verso la Germania (1,6 mln/t annue), oltre il 40% del totale, verso la Cina (ca. 450k t/annue) ed altri paesi confinanti come l’Austria (ca. 400k t/annue), la Francia o la Spagna (ca. 200k t/annue entrambe). Il waste to energy, in paesi avanzati come UK, Germania, e Francia, è una profittevole fonte energetica; permettendo di smaltire quasi la totalità dei rifiuti prodotti, e, con la capacità in eccesso, di lucrare con tariffe elevate sull’inefficiente smaltimento dei rifiuti in altri paesi come l’Italia (v. Germania). Inoltre in Italia è diffuso lo smaltimento inter-regionale verso le Regioni più virtuose, con costi fino a 170 €/t. La maggior parte del Paese presenta quindi un grava deficit impiantistico per lo smaltimento dei rifiuti; solo 4 Regioni (Friuli-Venezia Giulia, Trentino-Alto Adige, Lombardia ed Emilia-Romagna) detengono infrastrutture adeguate allo smaltimento dei rifiuti prodotti (es. 13 impianti di termovalorizzazione in Lombardia ed 8 in Emilia-Romagna), mentre in molte Regioni è presente un solo impianto (Calabria, Campania, Puglia, Molise, Basilicata) o nessuno (Sicilia, Abruzzo, Liguria, Marche, Umbria). Nelle Regioni virtuose operano infatti le più importanti multi-utility italiane: Hera, A2A e Iren.

Corretto sviluppo futuro del waste to energy in linea con le best practice europee

Analizzando ulteriormente la struttura proprietaria e gli operatori del settore, in Europa il waste management è gestito da pochi player privati specializzati, di dimensioni notevoli ed integrati sull’intera catena del business. Nell’ultimo decennio in UK è stato svolto un processo di consolidamento che ha portato i primi cinque operatori ad oltre il 60% del mercato da un’iniziale 15%. In Francia il mercato è consolidato intorno ai due grandi operatori Veolia (60 mln t/annue) e Sita Suez (18 mln t/annue), che ne gestiscono oltre il 60%, e hanno condotto diverse operazioni di M&A in Europa. In Germania dopo una fase di M&A interna, grazie anche a diversi fondi di investimento, il settore si è aggregato ed oggi Remondis (27 mln t/annue) ne è il leader indiscusso, seguito da Biffa (13 mln t/annue). È interessante notare come i volumi gestiti da Biffa (il più piccolo operatore tra i citati) siano comunque superiori alla somma dei volumi gestiti dai primi nove operatori italiani (HERA, A2A, Ama, Iren, ecc.). Vista l’identica normativa comunitaria, per sviluppare la rete infrastrutturale del waste to energy in Italia basterebbe replicare l’esperienza positiva degli altri grandi paesi europei sia a livello industriale che politico-sociale (limitando il fenomeno del Nimby). Poiché il risultato attuale è un problema ambientale ed energetico irrisolto, con un blocco ai possibili investimenti ed un aggravarsi progressivo della situazione delle discariche italiane. Lo sviluppo del settore nel prossimo decennio passa per una fase di aggregazione e consolidamento attorno ai maggiori operatori che dovrebbero estendere le loro attività oltre i confini provinciali e regionali attraverso acquisizioni, creando grandi reti nazionali in grado di competere internazionalmente. Saranno necessari ingenti investimenti privati per colmare il grande gap infrastrutturale e per raggiungere il livello tedesco. Si è stimato che occorrerebbero nuovi impianti per una capacità aggiuntiva di minimo 7 mln/t pari a circa €5-7 mld di investimenti. Gli operatori attuali, piccoli e controllati da azionisti pubblici, non possono garantire tali investimenti per i noti problemi della finanza pubblica (vincoli di bilancio). Anche per il settore dei rifiuti sono quindi necessarie grandi “public company” sul modello europeo, co-finanziate da capitali privati di stampo istituzionale per investimenti di lungo periodo e finalizzate ad una gestione efficiente. In tale ottica, per lo sviluppo di nuove infrastrutture di termovalorizzazione, risultano fondamentali le possibili operazioni greenfield realizzabili dai player privati in project financing, forma di accesso al credito bancario tramite cui i soggetti privati contribuiscono a finanziare un’opera pubblica non sulla base di garanzie reali, ma sui flussi di cassa attesi. In particolare tali operazioni prevedono alti livelli di leverage (strutture finanziarie D/E: 60/40 o 80/20), ed i finanziamenti possono essere rimborsati grazie ai ricavi ottenuti dalla vendita dell’energia prodotta, dalla tariffa di smaltimento e dall’incentivazione per la quota parte di energia generata dai rifiuti biodegradabili (certificati verdi). Tuttavia molte società che gestiscono termovalorizzatori in Italia hanno un capitale sociale in gran parte pubblico detenuto da Enti Locali, perciò sarebbe auspicabile anche in Italia lo sviluppo di operazioni “Partenariato Pubblico-Privato istituzionale”, ossia di privatizzazioni totali o parziali di importanti asset locali, aprendo a capitali privati “istituzionali” e con grande esperienza industriale di settore che abbiano la possibilità di implementare i necessari investimenti ed una corretta gestione. Perseguendo così il processo di espansione industriale dei maggiori operatori nonché il consolidamento di un settore frammentato, prevalentemente pubblico e che necessita investimenti per un incremento dimensionale e di efficienza. Può essere considerato un esempio di successo il termovalorizzatore di Torino, tra le più grandi infrastrutture italiane nel settore energy finanziate in project financing, e con importanti risultati nell’ottica della produzione energetica e del rispetto ambientale. Nel 2012, attraverso un “PPP istituzionale”, il Comune di Torino e gli altri soci pubblici hanno aperto il capitale sociale a importanti soggetti privati come il fondo istituzionale F2i – Fondi Italiani per le Infrastrutture e la multi-utility Iren S.p.A., riuniti nella società di progetto TRM V S.p.A. che detiene oggi l’80% della società che gestisce l’impianto (TRM S.p.A.). Il 20% della società è rimasto in mano pubblica, mentre ad inizio 2016 F2i ha ceduto la totalità della sua quota in TRM V. S.p.A. al Gruppo Iren, che oggi possiede la maggioranza assoluta di TRM S.p.A. e gestisce l’asset. Come detto una politica coerente di gestione dei rifiuti comincia a monte, intervenendo con una legislazione attenta sulla produzione dei rifiuti, e prosegue attraverso una raccolta differenziata capillare, favorendo anche sistemi di riutilizzo e recupero, per poi culminare nella termovalorizzazione dei rifiuti non riciclabili. La gestione dei rifiuti è quindi un tema strategico, che deve viaggiare su due binari: l’incremento della raccolta differenziata e del riciclo, ma anche la necessaria termovalorizzazione dei rifiuti non riciclabili per evitare lo stoccaggio in discarica e per produrre energia (il Governo ha identificato un obiettivo del +37% di termovalorizzazione nei prossimi anni, pari a +2,5 mln/t annue). In molti paesi d’Europa (quasi 500 termovalorizzatori attivi) gli impianti sono completamente integrati e spesso permettono la piena indipendenza energetica delle comunità. Il gap Italia-Europa è essenzialmente culturale, in quanto la normativa in materia è identica ed anche la tecnologia ed il know-how degli operatori sono gli stessi. Tale atteggiamento, legato agli altri aspetti, di fatto inibisce gli investimenti e lo sviluppo degli operatori. Occorre quanto prima una nuova vision ed una politica di gestione dei rifiuti coerente e realistica: i rifiuti non finiranno di essere prodotti e non possono essere completamente riciclati (anche se ciò va incrementato al massimo), quindi occorre trasformarli in risorse energetiche e preservare al massimo l’ambiente eliminando le discariche.

Francesco Micci

PricewaterhouseCoopers Advisory S.p.A.

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