“Quando un popolo, divorato dalla sete della libertà, si trova ad avere a capo dei coppieri che gliene versano quanta ne vuole, fino ad ubriacarlo, accade allora che, se i governanti resistono alle richieste dei sempre più esigenti sudditi, sono dichiarati tiranni. E avviene pure che chi si dimostra disciplinato nei confronti dei superiori è definito un uomo senza carattere, servo; che il padre impaurito finisce per trattare il figlio come suo pari, e non è più rispettato, che il maestro non osa rimproverare gli scolari e costoro si fanno beffe di lui, che i giovani pretendano gli stessi diritti, le stesse considerazioni dei vecchi, e questi, per non parer troppo severi, danno ragione ai giovani. In questo clima di libertà, nel nome della medesima, non vi è più riguardo per nessuno. In mezzo a tale licenza nasce e si sviluppa una mala pianta: la tirannia”.
Mai come oggi queste parole scritte da Platone, ne La Repubblica, 2400 anni fa, sembrano vive. Da circa 50 anni viviamo nella stagione dei cosiddetti “diritti”. Ma mai come ora questi “diritti” sono oggetto di una vera e propria pretesa, che non ammette discussioni. Così pretendiamo il diritto di criticare ed offendere altre persone sui social, ma non consideriamo la sofferenza che causiamo alle altre persone ed alla loro reputazione. Pretendiamo il diritto di spendere le risorse finanziarie del nostro Paese senza considerare le conseguenze del dilagare del debito sul nostro bilancio. Pretendiamo di ridurre al minimo la pressione fiscale sulle persone e sulle imprese, ma non ci preoccupiamo minimamente di bilanciare questa auspicabile agevolazione con l’impegno morale e materiale di pagare tutti onestamente le tasse. Pretendiamo di andare in pensione quanto prima, ma senza preoccuparci della voragine nei conti dell’INPS che questa nostra pretesa alla fine comporta. Pretendiamo che i nostri figli rispettino le nostre regole, ma aggrediamo spesso verbalmente e fisicamente i docenti che li richiamano al dovere con un voto basso o con una nota sul registro. Pretendiamo di accogliere nel nostro Paese maree di immigrati economici ma non ci preoccupiamo di come saranno sostentati. Accogliamo indiscriminatamente migranti illegali per apparire buoni ma non siamo capaci di offrire posti di lavoro ai nostri figli. Pretendiamo di abortire quando ci pare e piace ma non consideriamo il diritto di vivere e di non soffrire di una piccola e indifesa creatura nascente che ha una sua identità anche genetica differente da noi. Pretendiamo di trasformare la prostituzione in un mercato del sesso legale, però non accetteremmo mai che a prostituirsi fosse nostra moglie, nostra sorella o nostra madre. Pretendiamo che i politici a cui diamo il voto mantengano le loro promesse irresponsabili fatte solo per sedurci e li facciamo fuori, la volta successiva, perché non sono riusciti a mantenerle. Pretendiamo di comprare a basso costo le merci, senza preoccuparci se i Paesi che ce le forniscono rispettano le regole sul lavoro che noi consideriamo, per noi stessi, “diritti inderogabili”. Pretendiamo la tutela assoluta della nostra privacy ma poi ci arrabbiamo con le forze dell’ordine se ritardano nella ricerca di un assassino o di un ladro. Ci scagliamo contro un poliziotto che, sbagliando, per indurre un assassino a parlare, magari sopraffatto dall’emozione, gli benda gli occhi con un fazzoletto, ma non ci importa delle sofferenze della moglie e dei figli del servitore dello Stato ucciso da quell’assassino.
Basta fare un giro sui social per renderci conto di quanto la nostra società si sia incattivita. Invidia, offese verbali ed accuse irresponsabili dilagano. Sembrano in pochi a rendersi conto che le offese che rivolgiamo agli altri sono lo specchio di ciò che noi stessi siamo. Sembrano in pochi a rendersi conto che la libertà non è libertinaggio, che la nostra libertà ha la libertà dell’altro come confine. Sembrano in pochi a rendersi conto che se non ci fossero i semafori le auto andrebbero a sbattere l’una contro l’altra ed i passeggeri si farebbero molto male. E infatti la stagione dei diritti senza doveri, la stagione della libertà come libertinaggio non ci rende, nel complesso, felici. Basta vedere i dati sulla diffusione della droga e dello sballo tra i giovani che chiedono impropriamente alla cocaina e all’alcool di scacciare la propria dilagante solitudine interiore. Come Platone, anche il filosofo Hegel era convinto che “gli allori del puro volere sono foglie secche che non sono mai state verdi”. Ed anche Hegel, come Platone, sapeva, come è già accaduto nella Repubblica di Weimar prima del nazismo, che la libertà senza confini ed i diritti senza doveri favoriscono la fine della libertà e dei diritti: la tirannia. Che abbiamo già conosciuto e che non vorremmo mai più veder ritornare.
Domenico Crocco