La sensazione, come scrive Luca Ricolfi sul Messaggero, è che sul problema migranti, destinato a permanere nell’attenzione dei media per tutta l’estate e ancora oltre, siano proprio le anime belle ad alimentare l’inferno libico. Sia proprio, quindi, il buonismo, e quindi la presunzione di superiorità morale di chi crede di poter salvare il mondo senza usare anche la testa, a fare involontariamente il gioco degli scafisti e dei guerriglieri che, nel sud della Libia, sottopongono i migranti alle torture, alle violenze sessuali, alle estorsioni di denaro, ai lavori forzati ed alla vendita come schiavi.
Se proviamo ad attivare cuore e testa, ci rendiamo conto che ogni Stato ha i suoi confini. Se non avesse i confini e non li tutelasse non sarebbe uno Stato. E’ un principio semplice. Lo stesso principio per cui ognuno di noi vive in una casa con una porta chiusa dove chi entra deve essere invitato ed è vietato entrare illegalmente. Anche l’Europa ha dunque i suoi confini. E l’Europa, che finora di fronte al dramma dell’immigrazione ha balbettato diventando involontariamente complice degli sfruttatori dell’immigrazione illegale, ha un’unica via per risolvere il problema: mettere in pratica il principio per cui in Europa si entra solo per via legale, non via mare, difendendo con risolutezza i confini. Questo è il primo passo. A questo passo, dovrebbero seguirne altri. Due: favorire attraverso i canali umanitari gli ingressi regolari dei richiedenti asilo (non solo in Europa). Tre: favorire gli ingressi regolari dei migranti economici, sulla base di quote determinate dai fabbisogni occupazionali di ogni Paese. Quattro: favorire gli investimenti in Africa, creando quindi in quel Continente occupazione e sviluppo. Cinque: mobilitarsi maggiormente a livello ONU, con tutti i mezzi possibili, perché comunque, nell’emergenza, nessun africano muoia più per fame o per sete.
Quali sarebbero le conseguenze di questo processo? Punto primo: la notizia del blocco degli sbarchi illegali, che si propagherebbe attraverso i social media, arresterebbe il flusso dei migranti verso il Sud della Libia. I guerriglieri che spadroneggiano nel deserto libico non troverebbero più migranti da sottoporre alle rapine, ai peggiori crimini, all’inferno in terra. Ugualmente gli scafisti non avrebbero più esseri umani, ridotti in condizioni disumane, da schiavizzare prima e rapinare dopo. Finirebbero anche le drammatiche morti in mare degli annegati sui barconi. Punto due: l’Alto Commissariato per i rifugiati, che andrebbe maggiormente sostenuto, si occuperebbe del lavoro di trasferimento (in Europa ma non solo) dei veri profughi che fuggono dalla guerra o dalle torture. Punto tre: i migranti economici entrerebbero legalmente, anche se necessario a seguito di corsi formativi, per occupare quei posti di lavoro che, negli Stati europei, sembrano rimasti vuoti. Pensiamo, solo per fare un esempio italiano, al recente appello dell’amministratore delegato di Fincantieri che non riesce ad assumere 6mila persone in grado di lavorare come carpentiere o saldatore perché in Italia queste professionalità non si trovano quasi più. Quarto punto: agevoliamo maggiormente le imprese italiane ed europee che vogliono investire in Africa, e che spesso non conoscono neanche le agevolazioni già oggi disponibili. Sfogliando il primo report sulle imprese italiane che investono in Africa, appena pubblicato dalla rivista Officina Italia (officinaitalia.it), scopriamo che l’Italia è il terzo investitore in Africa dopo la Cina e gli Emirati Arabi. Eccellenze dell’impresa italiana come ENI, ENEL, Ferrovie dello Stato, ANAS, Ferrero, Divella, Salini Impregilo, Icop sono presenti da tanti anni nel continente africano creando occasioni di sviluppo e occupazione. Ma quante imprese sanno, ad esempio che la Cassa Depositi e Prestiti mette a disposizione 3 miliardi di finanziamenti per le imprese italiane che vogliono investire in Africa? Perché i mass media, mediamente, dedicano tanto spazio al negativo e così poco spazio alle storie di successo delle imprese italiane che in Africa continuano ad investire spesso affrontando difficoltà, talora resistendo anche di fronte alla fragilità di alcuni governi ed agli eventi bellici? Perché non si parla anche dell’ Africa che lavora, dell’Africa che cresce, dell’Africa delle grandi imprese con migliaia di occupati dal fatturato miliardario? Certo: c’è un’Africa che migra disperata verso l’Europa. Ma c’è anche un’Africa che chiede all’Europa di investire nel suo territorio dotato di risorse naturali che all’Europa mancano. Un’Africa che chiede all’Europa di diventare partner nella formazione, nell’impresa, nella costruzione di infrastrutture. Questo significa dare dignità all’Africa: diventare partner, crescere insieme.
Infine il punto più drammatico. Le immagini di quei bambini africani con le ossa visibili che ancora muoiono di fame e di sete. Questo deve veramente essere il primo punto del programma del governo mondiale e di ogni governo nazionale. Ci sono troppe parole e ancora troppo pochi sono gli aiuti. I migranti economici hanno almeno le energie per spostarsi. Loro neanche quelle. Irresponsabile continuare a chiudere gli occhi.
Domenico Crocco