C’è un’Africa che muore di fame e di sete. C’è una piccola Africa di grandi imprese dal fatturato miliardario. C’è un’Africa che migra disperata verso l’Europa. Ma c’è anche un’Africa che chiede all’Europa di investire nel suo territorio dotato di risorse naturali che all’Europa mancano. Un’Africa che chiede all’Europa di diventare partner nella formazione, nell’impresa, nella costruzione di infrastrutture.
Una nuova impresa in Africa può anche significare un partner per un nuovo mercato per l’impresa italiana o europea formatrice. E lo stesso impegno italiano ed europeo nelle infrastrutture africane, nelle strade e nelle ferrovie che collegano ai porti, negli ospedali, negli acquedotti, può essere ripagato dall’Africa con quelle materie prime di cui l’Europa scarseggia.
L’Italia è il terzo maggiore investitore in Africa, dopo Cina ed Emirati Arabi Uniti. In cima alla lista delle imprese, che in un’ottica di partnerschip, investono da tempo in Africa, troviamo gruppi multinazionali come ENI, ENEL, FS, SALINI IMPREGILO, FERRERO, DIVELLA, ICOP.
Uno dei progetti più interessanti a cui sta lavorando Confindustria si poggia su 3 pilastri. Innanzitutto si parte dal dato che in Africa le grandi aziende non mancano: ci sono circa 700 aziende africane che fatturano oltre mezzo miliardo l’anno. Quelle che mancano sono le piccole e medie, quelle che invece rappresentano l’ossatura economica italiana. E allora la prima azione deve portare a partenariati tra privati in cui le aziende italiane (o europee) diventano tutor delle aziende africane interessate che però stentano a decollare. Una volta formate grazie all’azienda tutor, le aziende africane possono diventare partner dell’azienda tutrice che può aprirsi così nuovi mercati dove collocare i propri prodotti.
Il secondo pilastro di questo progetto riguarda l’inclusione sociale e coinvolge gli immigrati africani in Italia. Per favorire la loro inclusione ci sono due modi: creare loro competenze per inserirli nelle aziende italiane che necessitano di manodopera oppure per favorire il loro ritorno nei Paesi d’origine. Esempio: contribuisco a formare immigrati nei settori della tipografia, della sartoria, della pelletteria e poi favorisco il loro ritorno nei loro Paesi aprendo tipografie e sartorie in Nigeria o in Etiopia.
Il terzo pilastro consiste nella possibilità di finanziare, attraverso green bond, imprese sostenibili in Africa con l’alleanza di banche, imprese, università, fondazioni. Si può replicare che il rischio d’investimento per le imprese in Africa esiste. Ma è anche vero che esistono fondi europei di garanzia che coprono una gran parte di questi rischi e che la Cassa Depositi e Prestiti destina 3 miliardi ai progetti d’investimento nei Paesi in via di Sviluppo.
Davanti alle immagini drammatiche di morti premature per fame o per sete, si pensa che il cibo in Africa non esista. E invece esiste, in molti casi, ma mancano le celle frigorifere e i silos per conservarlo, per non farlo deperire. Perché non impegnarsi a fornirle, anche chiedendo in cambio quelle materie prime che in Europa scarseggiano? L’Africa chiama l’Italia. L’Africa vuole l’Europa. Ma è stato calcolato che nei prossimi 30 anni in Africa ci saranno 500 milioni di nuovi consumatori, un nuovo mercato immenso aperto alle imprese italiane ed europee. Quindi sarà anche l’Europa ad aver bisogno dell’Africa.
In questo senso Roma, lo scorso 13 Giugno 2019, ha ospitato un evento a cui hanno partecipato numerosi ambasciatori africani, politici, giornalisti e numerosi imprenditori, che ha posto il nostro Paese ancora una volta al centro delle politiche per favorire lo sviluppo dell’Africa. Il 13 giugno infatti, la Fondazione Ali, nel Convegno L’Italia investe in Africa, organizzato presso l’Auditorium ANCE in via Guattani 16 (h. 15/18) con il patrocinio del Ministero Affari Esteri e Cooperazione Internazionale, Confindustria, ANCE, World Road Association (CNI) , Fondazione Cariplo, Campus Bio Medico e INBIT, ha presentato il primo report sulle aziende italiane che investono in Africa: e si è scoperto che molte di loro, oltre a generare profitto, sono capaci di portare formazione, ricchezza e solidarietà. E’ un sentiero che può essere ampliato e che merita di essere conosciuto.
Domenico Crocco
Presidente CdA Fondazione Ali