Il Paese più corrotto del mondo è la Somalia, insieme alla Corea del Nord. Il meno corrotto del mondo è la Danimarca. Nel gruppetto dei più virtuosi ci sono anche la Finlandia, la Svezia, la Nuova Zelanda, l’Olanda, la Norvegia e la Svizzera. La Germania è decima. La Francia ventitreesima. E l’Italia? Nonostante gli sforzi di Raffaele Cantone e della sua Autorità contro la corruzione e nonostante il Parlamento si sia riempito di neopolitici giustizialisti, l’Italia è al 61esimo posto nella classifica della corruzione, su 168 Paesi. E’ ancora il Paese più corrotto d’Europa (se si eccettua la Bulgaria) , addirittura peggiore della Grecia e della Romania.
La recente indagine di Transparency International ci inchioda sulla croce di questo triste primato. Un primato che spinge gli investitori stranieri alla diffidenza nei nostri confronti, a considerarci “creativi ma poco credibili”. Un primato che ci danneggia molto anche economicamente. Il Sole 24 ore ha calcolato infatti che se i fondi destinati alla corruzione fossero redistribuiti agli Italiani, il loro reddito pro capite non solo aumenterebbe di 10mila e 600 euro l’anno ma supererebbe quello dei tedeschi di circa mille euro.
In questo momento alcuni partiti stanno cavalcando l’onda anticorruzione. E’ una tendenza sicuramente positiva. Ma scivolano spesso su tre errori, che pregiudicano i loro pur meritevoli sforzi.
Il primo errore è quello di demonizzare le grandi opere per evitare la corruzione. Il ragionamento sbagliato è che siccome i grandi lavori sono stati spesso caratterizzati dalle mazzette, occorre rinunciare a realizzarli. E’ un atteggiamento fondamentalista, irrazionale. E’ come dire: siccome molti non pagano il biglietto del tram, rinunciamo ai tram. Assurdo. Invece le opere utili vanno costruite, affidandole piuttosto a persone ed imprese oneste e non ai soliti furbi.
Il secondo errore è quello di affidare la cosa pubblica a persone “oneste” anche se incapaci. E’ lo sbaglio che ha portato all’esperienza fallimentare di alcuni sindaci, che hanno scontato la loro incompetenza mascherandola dietro una “onestà” forse solo apparente.
Il terzo errore è quello di pensare che cambiando le leggi si risolve la corruzione. E’ per questo che si prospetta il nuovo codice degli appalti e delle concessioni, che vedrà la luce tra pochi mesi, come la panacea di tutti i mali. Grave errore. L’Italia ha attualmente la legislazione sugli appalti più rigorosa d’Europa contro il malaffare, eppure gli scandali continuano a dilagare. Perché se la legge viene applicata da lestofanti, si troverà sempre l’inganno per eluderla. Mentre una legge anche imperfetta, in mano a funzionari onesti, produrrà forse lungaggini ma non produrrà corruzione.
Un lettore della Gazzetta ha criticato, giustamente, il sostanziale silenzio che ha accompagnato i 30 anni dalla scomparsa di Araldo di Crollalanza, ministro dei lavori pubblici nella più grande stagione delle grandi opere in Italia (1928-1935). Trasformò prima Bari e la Puglia e poi l’Italia intera in un “cantiere sonante”. Gestì milioni e milioni di lire. Ma riciclava le buste usate per la corrispondenza del Ministero e del Senato perché erano pagate “con le tasse degli Italiani”. E quando terminò il suo incarico di Ministro, fece per qualche anno il rappresentante di enciclopedie porta a porta perché non aveva mai approfittato dei suoi prestigiosi incarichi per arricchirsi o per fare favori a personaggi di potere.
Per sconfiggere la corruzione non bastano solo le leggi. Occorre innanzitutto scegliere persone così.
Domenico Crocco