Finalmente l’Europa si è convinta che non si esce dal pantano della crisi economica senza investimenti. Dal piano Junker, ci aspettavamo inizialmente 315 miliardi di investimenti pubblici per innescare gli stimoli per la crescita. Si è scoperto, oggi, che i 315 miliardi sono in realtà ipotetici. I soldi veri, quelli pubblici, sono solo 21 miliardi. Questo capitale iniziale dovrebbe fare da leva per investimenti privati in grado di moltiplicare per 15 i 21 miliardi consentendo di raggiungere i 315 miliardi promessi dal presidente della Commissione europea per rimettere in moto l’Europa.
Gli economisti della Royal Bank of Scotland hanno commentato l’iniziativa di Junker come “troppo poco” e “troppo tardi”, considerato che dovrebbe bastare per 28 Paesi e che occorreranno tre anni perché possa produrre i suoi effetti. Ma il rischio più grande è che ne traggano beneficio i Paesi e le regioni più dotati di capitali da investire e finora più abili a presentare progetti solidi e convincenti. Il Sud d’Italia, che rappresenta una delle zone più sofferenti d’Europa, rischierebbe paradossalmente di restare fuori da questa partita. Perché finora si è distinto purtroppo per le difficoltà nello spendere i fondi stanziati dall’Europa , nell’elaborare progetti adeguati e nel reperire capitali necessari per cofinanziare le iniziative comunitarie.
Sappiamo tutti che alle regioni del Sud, per il periodo 2007-2013, sono stati destinati 49,5 miliardi di euro di fondi strutturali europei. Il Meridione ne ha speso una parte con grandi difficoltà e rischia di restituire 17 miliardi a Bruxelles se non riuscirà a spenderli entro la fine del 2015.
Invece di privilegiare investimenti in grado di inaugurare un circolo economico virtuoso, sono stati spesso proposti microinterventi territoriali del tutto svincolati da un piano di sviluppo: la “giostra del castrato” di Longobucco, la Festa dell’uva a Catanzaro, le “conversazioni del venerdì” a Vibo Valentia. E ancora: quanti sono i finti agriturismi edificati in Basilicata con i fondi europei che invece di produrre indotto e occupazione hanno solo esteso le proprietà immobiliari di furbi e finti imprenditori? E perché invece intorno ad alcune meravigliose e cristalline spiagge del Sud continua ad esserci il deserto mentre imprenditori veri le trasformerebbero in autentiche perle del turismo internazionale?
La verità è che, a parte alcune coraggiose e meritevoli eccezioni, il Sud soffre di deficit di cultura d’impresa. Se non riusciamo a costruire progetti per spendere finanziamenti a fondo perduto, figuriamoci quanto è difficile mobilitare capitale di rischio da investire. Abbiamo alcuni imprenditori eroi che, nonostante il vento contrario, riescono addirittura a sfondare sui mercati esteri. Ma ancora non si tratta di cultura d’impresa diffusa.
Talora le iniziative imprenditoriali del Sud, anche piccole e diffuse, sono fiorite intorno ad iniziative prese da fuori. Basti pensare a quanti esercizi commerciali campani sono sorti intorno agli investimenti tedeschi sugli impianti termali di Ischia. Oppure a quanto indotto sardo sia stato favorito dagli investimenti arabi sulla Costa smeralda. E ancora si pensi a quanti piccoli esercizi commerciali siano fioriti a Bari Vecchia dopo che la Commissione europea ci ha investito i fondi Urban per riqualificarla.
Spesso la fantasia e l’intelligenza del Sud ha bisogno, per esprimersi, dell’iniziativa di chi possiede maggiori capitali e tradizioni imprenditoriali. E non c’è niente di male a riconoscerlo. E’ proprio la contaminazione tra differenti talenti ed esperienze a favorire cose grandi.
Da Bruxelles, finora, si sono limitati a stanziare fondi per il Sud e a radunare raffinatissimi tecnici che scrivono complicate regole per i finanziamenti e le applicano rigorosamente spesso per bocciare le nostre proposte. E se invece l’Europa investisse direttamente sul Sud? E se impiegasse i raffinati tecnici di Bruxelles per costruire progetti remunerativi di investimento invece che per giudicare soltanto? E se impiegasse i suoi capitali (ad iniziare dai 17 miliardi di fondi strutturali non spesi) per veri e propri investimenti diretti, protetti da protocolli di legalità, intorno ai quali sicuramente fiorirebbe un indotto naturale dal basso?
L’Europa deve sporcarsi le mani con il Sud, se vuole aiutarlo a risalire da una crisi drammatica. Di fronte alla attuale moria di investimenti nel Sud, di imprese (meno 32mila) e di occupati (meno 600mila) occorre fare i conti con la realtà, non solo con regole astratte che vanno bene a Monaco di Baviera ma non a Palermo. E non basta il raffinato e avveniristico piano Junker. Occorre un vero e proprio piano Marshall, dell’Europa, per il Sud.
Domenico Crocco