Se il volume di traffico veicolare in Europa dal 1950 ad oggi è cresciuto notevolmente, dagli anni Novanta il numero di incidenti mortali o con feriti gravi è andato via via diminuendo grazie all’introduzione da parte degli Stati di politiche per la sicurezza stradale. La scelta dell’Unione Europea di promuovere strategie comuni per combattere una delle maggiori cause di mortalità tra i suoi cittadini è alla base del netto miglioramento avvenuto in questi ultimi anni. Tra i paesi più virtuosi spicca per i risultati raggiunti la Svezia, che si pone come modello non solo per l’Europa, ma per tutto il mondo.
L’obiettivo europeo: riduzione delle vittime entro il 2020
L’Unione Europea dal 2001 persegue l’obiettivo di sensibilizzare i paesi membri affinché lavorino per la drastica diminuzione dei decessi e dei feriti gravi per incidente stradale. A questo scopo nel 2010 è stato promosso il Programma europeo di azione per la sicurezza stradale per il decennio 2011-2020 che prevede un dimezzamento del numero di morti per incidente stradale e una drastica diminuzione dei feriti gravi, ponendo come punto di partenza i dati relativi allo stesso 2010.
Un utile punto di riferimento per capire quanto i paesi UE si stiano avvicinando a questo obiettivo, sono i rapporti annuali pubblicati dall’European Transport Safety Council (http://etsc.eu/category/publications/), un’organizzazione indipendente non-profit, che ogni anno misura i progressi fatti verso il raggiungimento dell’obiettivo comune, assegnando un premio, il Road Safety PIN Award, al paese che nell’anno precedente è risultato il migliore nel ridurre percentualmente il numero di morti rispetto al 2010. Se per il 2013 il premio è stato vinto dalla Slovacchia, che è riuscita a diminuire le morti del 37%, il paese che in assoluto ha il valore percentuale più basso di morti è la Svezia, che può essere considerato il paese più sicuro in Europa, e nel mondo, con 27 morti per incidente stradale ogni milione di abitanti.
Il modello svedese: una best practise replicabile
Il dato numerico è il risultato ultimo di un percorso iniziato negli anni Novanta, quando il Programma Nazionale Svedese per la Sicurezza Stradale fissò l’obiettivo di meno di 600 morti per incidente stradale entro l’anno 2000, dato che fu abbassato a 400 dall’Amministrazione Nazionale delle Strade Svedesi nel nuovo programma redatto nel 1994 per il quinquennio 1995-2000.
In questo percorso virtuoso dell’amministrazione pubblica nazionale, si inserì il Parlamento Svedese che decise di tradurre gli sforzi sino ad allora compiuti in un nuovo approccio chiamato Vision Zero.
Il piano Vision Zero fu introdotto nel 1997 con lo scopo di raggiungere l’obiettivo di ridurre a zero le morti per incidente stradale entro il 2020. La strategia era, per quel periodo, innovativa e molto ambiziosa per le difficoltà che la sua realizzazione poneva, e può essere sintetizzata in tre principi:
- Un imperativo etico;
- La responsabilità comune;
- La sicurezza e la tecnologia.
L’imperativo etico alla base della strategia adottata rigetta una visione meramente economica, in cui la sicurezza stradale deve tener conto degli altri interessi economici legati alla mobilità, a favore dell’assunto che non è possibile che le persone muoiano o si feriscano seriamente mentre sono in strada. L’essere umano è posto al centro delle scelte da prendere e tutto il resto è in sua funzione. In quest’ottica l’obiettivo di azzerare le morti diviene un obiettivo da raggiungere con ogni sforzo.
La responsabilità che proviene da questa scelta etica, si traduce nell’impegno dei decisori politici ed amministrativi ad analizzare i bisogni e gli errori degli utenti e le vulnerabilità del sistema stradale; a progettare e manutenere le strade al fine di minimizzare gli incidenti con danni agli esseri umani; a regolare la velocità dei veicoli in base alle strade ed al livello di ferite che il corpo può sopportare senza riportare conseguenze serie o letali.
Questi presupposti sono alla base delle scelte prese per garantire la sicurezza stradale dei cittadini e che hanno permesso alla Svezia di raggiungere ottimi risultati nella diminuzione del numero di morti e feriti. Su queste basi, infatti, vengono calcolati i limiti di velocità, tenendo conto del pericolo che può arrecare un incidente alla vita degli automobilisti, ma anche dei pedoni e dei ciclisti. In città il limite è di 30 km/h in tutti quei luoghi dove non si possono separare fisicamente i pedoni dal traffico veicolare, in quanto questa è la velocità limite sopportata da una persona in caso di investimento stradale con una macchina ben costruita. Per aumentare la velocità in città, le amministrazioni devono costruire spazi rigidamente separati fra pedoni e veicoli: in questi anni sono stati realizzati oltre 12.600 attraversamenti di sicurezza per pedoni e ciclisti affinché non sia messa a rischio la loro vita ed, inoltre, sono aumentate le zone pedonali nei centri cittadini. Sulle strade extraurbane non è tollerata una velocità superiore ai 70 km/h, in quanto velocità limite su una macchina ben costruita per evitare ferite gravi al conducente in caso di incidente frontale. Solo su strade opportunamente costruire per evitare impatti frontali e laterali, la velocità può superare i 100 km/h. Inoltre le nuove infrastrutture stradali sono costruite per evitare che l’automobilista sia incentivato a superare i limiti di legge: sono 1.500 i chilometri di strade a tre corsie, con quella centrale che funge alternativamente per corsia di sorpasso per un senso di marcia o per l’altro.
All’attenzione per la costruzione di strade sicure, si affianca una responsabilizzazione degli automobilisti e dei ciclisti, attraverso l’educazione all’utilizzo di idonei strumenti in grado di preservarne la vita in caso di incidente: ad esempio, oltre il 95% delle persone in auto usa la cintura sui sedili anteriori e quasi il 90% su quelli posteriori.
Al controllo e limitazione della velocità, si affianca, in applicazione della strategia Vision Zero, una politica restrittiva sul consumo di alcol per chi si mette alla guida, sia attraverso una capillare campagna educativa sia attraverso una fitta rete di controlli, a cui sono state affiancate normative severe che puniscono duramente i trasgressori.
A completare il modello, la Svezia promuove lo sviluppo di una tecnologia in grado di sostenere questa strategia di lungo periodo, contribuendo al miglioramento delle condizioni di sicurezza attiva e passiva sia delle infrastrutture, attraverso l’uso di segnaletica interattiva con i veicoli e la costruzione e manutenzione delle strade con materiali innovativi in grado di incrementare la sicurezza della circolazione veicolare, sia dei veicoli stessi, attraverso la promozione della diffusione di accorgimenti in grado di entrare in funzione anche senza l’intervento del guidatore ed evitare così gli incidenti per disattenzione.
Un quadro sicuramente incoraggiante e replicabile in altri paesi, come l’Italia, dove non manca l’impegno del legislatore sul tema e le nuove tecnologie sono molto diffuse sui veicoli circolanti, ma dove, allo stesso tempo, è poco sviluppata una cultura della sicurezza stradale, che si forma solo attraverso l’educazione continua, ed una strategia politica condivisa e sistematica di lungo periodo come Vision Zero.
Domenico Palermo