La destra al tempo di Renzi

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Nel momento in cui Renzi sposta a destra il PD, le forze politiche di centro destra sono obbligate a ripensare se stesse. Renzi comunica come un leader di destra. Renzi si rapporta direttamente al popolo come facevano Mussolini e Berlusconi. Renzi comincia a tagliare le tasse come aveva promesso, senza poi mantenere, Forza Italia.

Di fronte a Renzi, le forze moderate che finora occupavano lo spazio di centro destra sembrano in fase di stallo. O governano con Renzi, in posizione di subordinazione numerica (il Nuovo Centro Destra). O si accordano con Renzi, in atteggiamento di ammirazione a distanza (Forza Italia). L’estrema destra invece, vedendo occupati da Renzi molti spazi tradizionalmente liberali, per distanziarsi da Renzi è costretta a demonizzare l’euro, l’Europa e gli immigrati , talora spaventando gli elettori moderati. In tutti i casi, nessuna di queste forze auspica elezioni a breve. E questo è il chiaro segno non solo del timore di un ulteriore sfondamento di Renzi ma anche dell’incertezza sull’identità programmatica da offrire all’elettorato tradizionalmente moderato.

La domanda che ci si pone è dunque questa: c’è spazio per il centrodestra al tempo di Renzi o il territorio politico che rimane libero è solo quello estremo e minoritario? E quali sono i contenuti di programma di cui questo spazio si potrebbe nutrire?

L’impressione è che questo spazio ci sia e sia anche molto largo. Sul piano dei contenuti di programma, ci limiteremo a tre punti, che si prestano ad essere ulteriormente estesi, ma che sono particolarmente significativi per l’elettorato moderato.

Il primo riguarda il lavoro e nasce da una constatazione: gli 80 euro non hanno portato occupazione. E non la produrranno neanche gli sgravi fiscali della legge di stabilità. Così come non lo hanno fatto le iniezioni finanziarie della BCE. La linea monetarista non basta a tirarci fuori dalla recessione e non fa alzare l’inflazione. Il presidente di Confindustria Squinzi dichiara che senza investimenti pubblici non se ne esce. Finanche il Fondo monetario internazionale si è convinto alla fine che solo un programma massiccio di investimenti in lavori pubblici è in grado di riaccendere i motori dell’economia e dell’occupazione. Il centrodestra potrebbe incalzare Renzi in questo senso: presentando questo massiccio programma di infrastrutture veramente utili (dissesto idrogeologico, rigenerazione urbana, collegamenti indispensabili) con la relativa copertura (vedi fondi europei strutturali e TEN T) come peraltro aveva fatto Berlusconi nella campagna elettorale vincente del 2001.

Il secondo punto riguarda il mercato del lavoro. Il centro destra (di opposizione e di governo) ha plaudito sostanzialmente alla riforma renziana dell’articolo 18, come se la maggiore flessibilità in uscita automaticamente potesse aumentare l’occupazione. Anche autorevoli economisti liberisti hanno spiegato che non è così. L’unica proposta veramente innovativa in grado di garantire sia flessibilità sia aumento dell’occupazione sarebbe invece quella della “partecipazione”, che Renato Brunetta (ispirandosi alle teorie di Mead e Weitzmann) ha teorizzato nei suoi libri, ma che il centrodestra ha lasciata abbandonata negli scaffali: fine del contratto nazionale e mantenimento di un minimo contrattuale fisso, legando il resto della retribuzione ai risultati d’impresa. Questo consentirebbe al lavoratore di percepire di più se l’impresa cresce, di meno se la produttività diminuisce o in caso di crisi di mercato. Superando lo steccato ideologico che divide dipendente ed imprenditore, tutti remerebbero nella stessa direzione, oltre che per coscienza anche per convenienza comune. Sarebbero gli stessi lavoratori a “stimolare” i colleghi scarsamente produttivi e l’occupazione, come “scientificamente” dimostrato, crescerebbe. Incredibile avere una proposta così innovativa (peraltro gradita anche ad una parte del mondo sindacale italiano) e non farne un cavallo di battaglia.

L’ultimo punto riguarda i valori, che da sempre, insieme all’orientamento verso l’economia sociale di mercato, costituiscono l’identità dei moderati di centro destra. Nella laicissima Francia, milioni di moderati, senza un’etichetta religiosa, sono scesi in piazza contro le derive libertarie di Hollande, mostrando quanto grande sia l’orientamento tradizionale anche nell’Europa secolarizzata. Questo popolo moderato stenta anche in Francia a trovare rappresentanza politica avendo davanti o un Sarkozy deludente e coinvolto, come Berlusconi, in diverse inchieste giudiziarie o l’estremismo lepenista in cui non si riconosce.

In Italia, la cosiddetta destra si limita a giocare in difesa sui valori di fronte alle spallate di Renzi contro la tradizione valoriale moderata. Oppure cavalca le spallate di Renzi, come fa Berlusconi, disorientando la maggioranza moderata del suo partito. Invece ci sarebbe spazio per un orientamento al valore moderato, laico e non baciapile, conservatore senza essere bigotto, che senza paura sostiene la promozione e la difesa della vita, la famiglia tradizionale (che è l’unica aperta alla vita), la generosità dell’adozione contro l’accanimento della manipolazione.

Ancora: da una proposta politica liberal moderata ci si attenderebbe un più coraggioso programma di riduzione della spesa pubblica improduttiva ed un rafforzamento dell’ordine pubblico contro le derive buoniste , irresponsabili, eccessivamente tolleranti.

Oggi una simile proposta politica moderata riempirebbe un vuoto e ci condurrebbe naturalmente ad un bipolarismo maturo, all’americana. Ma un programma del genere andrebbe sostenuto da gambe forti. Da statisti, non da imbonitori elettorali. Gente che trova il suo carisma nel coraggio. Un coraggio almeno pari a quello che sta dimostrando Renzi nel rifondare la sinistra.

Domenico Crocco

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