Ecco dove sono i soldi per l’Italia: ma occorre saperli spendere

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Incredibile: nell’Italia del dissesto ideogeologico, delle scuole da mettere in sicurezza, dei quartieri degradati da rigenerare, dai tanti ponti e gallerie da mettere in sicurezza e dai laboratori di ricerca che chiudono per mancanza di finanziamenti, rischiamo di dover restituire a Bruxelles 17 miliardi di fondi comunitari. La commissione europea ce li ha messi a disposizione per progetti che abbiamo scelto noi ma condividendoli con Bruxelles. Progetti che, considerando anche i cofinanziamenti nazionali, salgono a 30 miliardi da spendere entro il 31 dicembre 2015. Se l’Italia fallisce l’obiettivo, questi fondi saranno affidati ad altri Paesi più capaci di utilizzarli. Si tratta di ciò che resta dei 49,5 miliardi di euro dei fondi strutturali europei per il 2007-2013 destinati all’Italia. L’Italia ne ha speso finora il 40% ma il restante 60% resta da finalizzare. I fondi dovrebbero stimolare la crescita dell’economia. Ma finora sono stati spesso utilizzati per una miriade di microinterventi territoriali del tutto svincolati da un piano di sviluppo: la “giostra del castrato” di Longobucco, la Festa dell’uva a Catanzaro, le “conversazioni del venerdì” a Vibo Valentia. Gli interventi che possono portare vero sviluppo, come quelli logistici e infrastrutturali, si impantano spesso sui ritardi progettuali, sui veti autorizzativi, sui cambi di scelta politica territoriale. Così il tempo passa e Bruxelles rivuole i soldi indietro. Come se ne esce? Le azioni da fare sono 2: 1) chiedere eccezionalmente a Bruxelles flessibilità sull’utilizzo immediato di questi fondi, che dovrebbero poter essere impiegati , per esempio, anche per finalità di manutenzione straordinaria (ponti e viadotti stradali da mettere in sicurezza, quartieri urbani da rigenerare); 2) prevedere una responsabilità anche erariale per il mancato utilizzo di questi fondi, in modo che chi rallenta o cincischia paghi. Tutto questo, peraltro, è perfettamente in linea con il patto di stabilità e crescita.

Ma non ci sono solo i soldi comunitari. Quanti sono i programmi governativi che hanno determinato prima una concorrenza agguerrita degli enti territoriali e delle Regioni per accaparrarseli salvo poi distinguersi per un’inerzia irresponsabile nello spendere? Basti pensare, tanto per fare pochi esempi, ai contratti di quartiere, al piano nazionale di edilizia abitativa, al piano città. Anche in questi casi occorrerebbe prevedere una precisa responsabilità politica, dirigenziale ed erariale per punire e sconfiggere l’inerzia. In questo modo si avrebbe anche un’altra credibilità quando si chiedono soldi e flessibilità a Bruxelles, quando si chiede l’autorizzazione a fare altri debiti mentre contemporaneamente si buttano via i soldi che già si hanno. E si avrebbe un’altra credibilità di fronte alle imprese che chiudono per mancanza di investimenti, ai cervelli in fuga, ai disoccupati che non trovano lavoro.

Domenico Crocco

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