Il 19 Febbraio 2014 la notizia che Facebook ha comprato Whatsapp ha fatto il giro del mondo. Ma qual è il vero motivo di questo acquisto? Al giorno d’oggi siamo tutti a conoscenza della portata dei social network. Siamo sommersi dai social network, dalla multimedialità, viviamo in un mondo di interconnessioni infatti siamo perennemente connessi in rete, e interagiamo in continuazione in quello che è definito ormai da
tempo il mondo virtuale. Il mondo virtuale è un mondo in grado di ricreare le sensazioni, le emozioni di quello reale. Ma fino a che punto? Tutti si sono posti questa domanda almeno una volta e diciamo che la risposta è sempre molto vaga. Il nostro tempo reale è diventato tempo virtuale che va raccontato, il fatto di essere sempre in contatto con gli altri è come se ci desse la conferma che in questo mondo siamo presenti anche noi. Oggi in rete comunicare equivale ad esistere e è da qui che nasce questo bisogno di condividere. C’è chi dice che il mondo virtuale non sarà mai una rappresentazione di quello reale, chi invece dice che come si è nella vita lo si è anche in rete. Perché la virtualità ha un dualismo: da un lato difende e nasconde le nostre imperfezioni, ma dall’altro ci sottrae l’umanità, aumentando e radicando, dentro di noi il desiderio, il timore, il non saper più gestire la vita reale e soprattutto le relazioni normali, si parla in questo caso di isolamento totale. Il rapporto tra reale e virtuale è una caratteristica della nostra epoca che vede una tendenza alla smaterializzazione della società in cui l’immagine è il punto focale poiché ha un impatto diretto con la realtà. In effetti tutto ciò che accade, tutto quello che ci circonda, le esperienze che viviamo sono fruibili attraverso le immagini, le simulazioni e soprattutto le comunicazioni virtuali. La comunicazione è un bisogno primario dell’uomo. Possediamo l’istinto di conservazione e allo stesso tempo siamo animali sociali. E’ l’istinto che porta ad incontrarci e a metterci in relazione con i nostri simili. Secondo lo studioso fiorentino Giovanni Sartori l’uomo si distingue dall’animale grazie alla dimensione simbolica nella quale è inserito e della quale è lui stesso creatore: la lingua. Il termine comunicazione deriva dal latino cum=con, e munire: legare, costruire e dal latino communico: mettere in comune, far partecipe. Per definizione è l’insieme dei fenomeni che
comportano il trasferimento di informazioni e la condivisione di informazioni personali. Tim Barners-Lee, padre del World Wide Web ha dichiarato: “Il futuro è nella condivisione”. Berners-Lee parla della società smart e responsabile, e pensa ad una community che fonde esperienze, prassi e cerca al tempo stesso di risolvere le problematiche di oggi. Oggi non ci si pone più il problema del pericolo o del limite della comunicazione con gli altri perché comunicare è diventato un bisogno.
Vi è infatti un cambiamento genetico dell’uomo che è immesso, sommerso e integrato nella e con la
comunicazione digitale.
La comunicazione digitale è il modo, il metodo di scambio delle idee, di esperienze attraverso la
rete telematica (Per tutti, N. Negroponte, Essere digitali, Sperling & Kupfer S.p.A., Milano 2001).
Per molto tempo i mezzi di comunicazione non hanno modificato il passaggio dalla cultura
scritta a quella orale poiché tutte e due avevano al centro il linguaggio.
Il primo cambiamento è però avvenuto con l’avvento della TV e di Internet.
La TV consente di vedere lontano e di vedere da lontano stando a casa, così facendo la parola sisacrifica all’immagine e assume meno peso, interesse e influenza rispetto all’immagine.
Poi l’avvento del PC e di Internet, negli anni 80-90 ha prodotto vari effetti.
Se prima si avevano diversi medium (fax, telefono, radio, televisione) che interagivano e vivevano
nello stesso ambiente ma ognuna di loro aveva la sua funzione, oggi si cerca di racchiudere ogni
cosa in un solo oggetto. Oggi infatti dal nostro PC si può e si pretende di poter far tutto, vi è infatti
una pretesa verso la scienza di ottenere tutto ciò che fino a prima era fantascienza e che invece oggi
è realtà. Si parla anche di bilocazione ovvero la possibilità di essere presente in più luoghi
contemporaneamente come ad esempio seguire una conferenza comodamente dal divano di casa
come se si stesse lì.
Si individuano tre funzioni di Internet:
• pratica: Internet come strumento per rispondere alle nostre esigenze quotidiane;
• di svago: Internet come “a way to waste time” o “a way to spend time”. Queste due
definizioni illustrano il Digital Divide presente, poiché la prima è in un’ottica negativa è
quindi una definizione data da coloro che sono distanti da Internet, che lo temono, che non
riescono ad avvicinarsi a questo nuovo mondo, mentre la seconda è per i nativi digitali, per
coloro che sono nati insieme ad Internet e che sono circondati dalla multimedialità e quindi
la percepiscono in modo positivo, come un guadagno di tempo;
• funzione educativo-culturale.
Quest’ultima è quella più debole poiché fa riferimento a quella che è una delle critiche
principali fatte ad Internet sul tema dell’informazione: quanto le notizie siano valide?
Quanto siano affidabili? E come si può sapere se sono attendibili o no?
La TV ma in modo particolare Internet, appaiono sotto al forma di comunicazione di massa più
partecipative della storia dell’umanità.
Internet è globalizzata e globalizzante, decentralizzata, offre la possibilità di comunicazione
senza limiti né di tempo né di spazio, si parla di extraterritorialità ovvero di comunicazione
internazionale e interculturale e usufruibile da ogni tipo di utente. Per quanto riguarda i suoi
contenuti invece vi è un filtraggio automatico e delle regole etiche dell’uso e per l’uso come ad
esempio norme sulla privacy, un limite all’indecenza, l’inquadramento nell’ambito del domicilio dei
reati informatici e questo si spiega dal fatto che il PC è gestito da un individuo, è l’uomo che
attivamente usa le sue mani per schiacciare i tasti della tastiera, per usare il mouse, per vedere
video, foto ecc. Infatti il computer permette all’uomo di uscire da sé per andare altrove pur restando
dov’è.
In questo scenario si è affermato il cambiamento dall’homo simbolycum all’homo digitalis.
L’ homo digitalis è l’ uomo che vive nella modernità, intesa come emarginazione delle forme
istituzionali tradizionali a favore di forme più veloci, flessibili e cangianti e soprattutto individuali.
L’homo digitalis è l’uomo sempre unterwegs: colui che viaggia, perché ha deciso di non arrivare (di
non trovare una collocazione definitiva) e di affidarsi all’interazione del Web.
La rivoluzione multimediale, in tutte le sue ramificazioni, sta producendo un mutamento
epocale che va ben oltre la novità dei diversi strumenti di comunicazione (televisione, computer,
Internet, ecc.): essa è portatrice di filosofia che genera un nuovo tipo di uomo e di società.
La comunicazione è dunque cambiata, così come l’uomo che diventa sempre di più digitale.
Allo stesso modo anche le relazioni sono cambiate, si sono adattate (e continuano a farlo) con i
tempi: le nuove tecnologie hanno potenziato le possibilità di condivisione e conoscenza. Perché in
fondo la natura e il ritmo delle innovazioni tecnologiche si modellano sui bisogni effettivi della
società.
Attraverso i social network e le chat i rapporti sono diventati più facili e più semplici da
sviluppare. Ma c’è anche il rischio della superficialità perché oggi crearsi la propria identità avvieneper somma: noi siamo quello che facciamo. C’è una preoccupazione nell’essere o non essere
riconosciuti, e il tutto è nell’obiettivo finale di migliorare la percezione che gli altri hanno di noi.
Come abbiamo cambiato il modo di relazionarci?
Abbiamo de-materializzato le relazioni umane, prima si aveva la persona davanti a se per aver un
rapporto, oggi si può benissimo essere di fronte ad un computer, un tablet, uno smartphone e non
vedere l’altro fisicamente.
Oggi è proprio il nostro smartphone ad essere smart e infatti lo si può utilizzare in multitasking
perché in un solo oggetto si possono fare sempre più cose: il 6% degli italiani prenotano viaggi, il
7% effettuano scommesse online, il 22% guardano serie TV online, il 26% leggono blog, e il 59%
sono sui social network.
Questi dati sono stati presi dalla conferenza ‘MAX: Mobile as Experience’ svoltasi il 10
Aprile 2013, più precisamente le fonti provengono da Comscore, Blogmeter e Audiweb e sono studi
fatti su un campione di persone molto ampio e rappresentativo della popolazione italiana.
In questa conferenza esperti di Marketing e Comunicazione hanno spiegato come al giorno d’oggi il
mobile è parte integrante delle nostre abitudini, è un apparecchio che non solo facilita la vita e
avvicina le persone ma è un “Life Companion” un compagno di vita inseparabile per chi lo sceglie.
Un alleato che diventa indispensabile in varie situazioni di vita quotidiana, che rende amici e parenti
ancora più vicini con le sue funzioni social e che è non solo sempre più intelligente ma anche facile
da utilizzare. Inoltre si ha la possibilità di usare questo medium in ogni luogo: il 42% lo usano al
ristorante, il 43% nei negozio, 51% su un mezzo di trasporto pubblico, il 20% a scuola.
Infatti è diventato talmente tanto un compagno di vita che lo usiamo nelle situazioni più disperate:
54% degli intervistati lo usano mentre sono sul letto, il 30% mentre sono a cena con altri e il 39%
sono nel bagno. Si parla infatti della domestication theory che spiega come vi è un cambiamento di
base della visione delle cose, come il fatto di portare al bagno il cellulare e non il giornale.
Se prima questi gesti non erano neanche immaginabili, oggi fanno parte della quotidianità , della
normalità, sono gesti routinieri.
Credo fermamente che nessuno possa sfuggire ai gusti, alle tendenze del proprio tempo.
Oggi come oggi sentiamo sempre di più questo bisogno assoluto di comunicare e come possiamo
soddisfarlo?
Una delle soluzioni è sicuramente attraverso i social network e attraverso quelle applicazioni che
riprendono in toto i funzionamenti dei social network.
Il tema sul quale ho deciso di focalizzarmi è il seguente: 2 piattaforme diverse che, pur essendo
molto simili tra di loro, hanno cambiato le nostre abitudini sociali, sono strumenti totalizzanti e
vanno diventando dei veri e propri oggetti di culto. Sto parlando di Facebook e Whatsapp.
Oggi Whatsapp fa parte della quotidianità, al mattino quando ci svegliamo la prima cosa che
facciamo è verificare se qualcuno ci ha scritto. Sono la prima a farlo: al mattino suona la sveglia del
mio smartphone poggiato in carica sul comodino, la spengo e controllo su Whatsapp i nuovi
messaggi, poi Facebook per vedere cosa hanno fatto i miei amici la sera prima, e Twitter per sapere
le notizie di cronaca, economia, prima degli altri e infine leggere le email ricevute.
Si parla di social shaping of technology nel senso che le società cooperano nel processo
sociale della tecnologia. L’uso dei social network è condiviso dagli utenti perché come ho detto
prima con il mobile, il social network risponde a dei bisogni degli users e quindi più si va avanti più
le persone o abbracciano o abbandonano l’idea tecnologia portata dal social. La tecnologia ha infatti
una destinazione specifica ma acquisisce valore nell’uso.
Vent’anni fa erano nati gli sms, il sistema di messaggistica per telefonia mobile che aveva
rivoluzionato il modo di comunicare in tutto il mondo. Il primo SMS fu inviato dall’ingegnere della
Nokia Matti Makkonen il 3 dicembre 1992, per l’augurio di “Merry Christmas” all’ingegnere della
Vodafone Richard Jarvis. Quel messaggio partì da un pc per arrivare su di un dispositivo mobile. In
seguito, si passò al filo diretto mobile-verso-mobile come sintomo dell’avvento, e la velocissimaaffermazione, di nuovi sistemi per comunicare.
Gli SMS erano una rivoluzione linguistica culturale ed economica non indifferente in quanto
cambiarono totalmente il mondo della comunicazione. Meno telefonate venivano effettuate cedendo
il posto a più messaggi. E questo si è tradotto in meno comunicazioni sincrone (cioè quando gli
interlocutori sono contemporaneamente collegati, come accade quando si telefona), per più
comunicazione asincrona (cioè in modo non simultaneo).
Si è incrementata la capacità di scrivere testi più concisi e diretti che illustrano la formattazione del
pensiero verso uno nuovo, più ritmico. E questa è stata la rivoluzione culturale del fenomeno.
Si è dunque passati da un equilibrio tecnologico puramente mass-mediale segnato da una
distinzione molto netta fra produzione e fruizione di messaggi, ad un nuovo equilibrio tecnologico
che annulla questa distinzione. Si è passati dalla comunicazione “one to many” nella quale il flusso
comunicativo va nel senso “uno a molti”, alla modalità “many to many” caratterizzata da flussi
comunicativi “molti a molti”.
La rivoluzione è stata anche sul piano economico perché un sms costava di meno rispetto
allo scatto alla risposta, o ad una telefonata di lunga durata o anche perché telefonare significava
raccontare e questo richiedeva del tempo, tempo che con un sms veniva risparmiato.
Poi è arrivato Whatsapp, il servizio di messaggistica istantanea e gratuita che ha portato
l’SMS ad essere un’abitudine piuttosto che una pratica utile come poteva esserlo prima, messo
quindi da parte.
Si è iniziato con MSN Messenger, nel quale i giovani di tutto il mondo comunicavano, si aveva un
profilo con email, nome, foto e status e si avevano tutti contatti di amici veri perché ci si doveva
scambiare l’email per poter comunicare.
Ma con l’avvento di Facebook e Twitter piano piano i contatti e gli accessi su MSN messenger
diminuivano e infatti l’8 Aprile 2013 si è ufficialmente integrato con Skype dopo una decisione
presa da Microsoft a favore di Skype, servizio usato da tutti per le chiamate a distanza, per parlare
con quei nostri amici in un altro paese e per sentirli meno lontani vedendoli grazie alla webcam.
Whatsapp è nata dall’ingegno di due sviluppatori fuoriusciti da Yahoo! Brian Acton e Jan
Koum.
Hanno lavorato 20 anni presso Yahoo, facendo del loro meglio per tenere in vita il sito, lavorando
giorno e notte per vendere pubblicità, perché era quello che faceva Yahoo. Decisero poi di sfruttare
questa esperienza ed avviare una loro propria azienda investendo il loro tempo per creare un
servizio che la gente volesse usare perché funzionante, un servizio che consentisse di risparmiare
soldi e che in qualche modo rendesse la vita della gente un po’ migliore.
In un’intervista i due creatori di Whatsapp spiegano dicendo “Sappiamo che le persone
vanno a dormire felici per aver chattato con una determinata persona (e deluse per non aver chattato
con un’altra). Vogliamo che WhatsApp sia il prodotto che vi tiene svegli di notte… e il prodotto che
cercate alla mattina appena aprite gli occhi. Nessuno si alza da un riposino e corre a vedere una
pubblicità.” (fonte: http://www.whatsapp.com/?l=it )
La compagnia Whatsapp Messenger è stata fondata nel 2009 a Santa Clara in California.
Come ogni invenzione, è nata da un sistema di tecnologie alternative e poi diventata subito
conservativa nel senso che una volta che c’è stato questo cambio con la messaggistica tradizionale,
non si torna più indietro.
WhatsApp è un servizio di messaggistica per cellulari, è un’app mobile multi-piattaforma che
consente di scambiare messaggi di testo con i contatti della propria rubrica, che a loro volta devono
avere installato il programma sul loro device.
Ovviamente la sua creazione ha avuto delle conseguenze sulla messaggistica tradizionale, ha infatti
spinto definitivamente gli sms in caduta libera. WhatsApp Messenger è una delle più famose
soluzioni per inviare SMS gratis disponibili attualmente tra gli utenti del servizio. Permette anche di
condividere video e immagini e di realizzare chat di gruppo. Importa automaticamente i contatti
dalla rubrica del telefono in modo da segnalare all’utente quali sono disponibili per l’invio dimessaggi gratuiti. Funziona in Wi-Fi e 3G. Su alcune piattaforme, come iPhone, la app è a
pagamento (0,89 €).
E questa condivisione di video, di immagini con i nostri contatti esiste anche su Facebook.
Facebook è infatti la nostra vetrina, noi siamo come ci mostriamo sul nostro wall, sul nostro profilo.
E in funzione delle nostre passioni, delle mosse che facciamo sul social network gli altri si fanno
un’idea di noi.
Facebook e WhatsApp sono accessibili a tutti da qualsiasi parte del mondo. Spopolano
soprattutto tra i giovani perché hanno tutte le caratteristiche per soddisfare le loro esigenze: costi
zero, invio e ricezione immediata del messaggio, scambio rapido di file e immagini e possibilità di
avviare conversazioni di gruppo per qualsiasi esigenza dal divertimento allo studio.
«Ti scrivo su WhatsApp» o “Scrivimi su Facebook” sono diventate le frase più ricorrente per
organizzare una serata in compagnia. «Ti mando un messaggio» fa parte invece della preistoria.
Entrambe le piattaforme offrono la possibilità di chattare con i propri contatti.
Sono organizzati come un sistema di comunicazione in tempo reale che permette a più utenti non
per forza collegati nello stesso momento di scambiarsi brevi messaggi scritti, emulando una
conversazione.
Possiamo definire quelle che sono le loro caratteristiche principali nonché le caratteristiche
dei nuovi media rispetto ai media tradizionali: facilità da scaricare, Economicità, velocità,
extraterritorialità, capacità di multimedialità e interattività e campo di azione esteso sia nel tempo
che nello spazio.
Facebook è oggi il social network per eccellenza. La sua vocazione è quella di rendere il mondo più
aperto e connesso 845 milioni di utenti attivi al mese alla fine del 2011,100 miliardi di amicizie,
250 milioni di foto caricate ogni giorno, 2,7 miliardi di “like” e commenti al giorno.
Questo social network permette di comunicare a chilomentri e chilometri di distanza. Vanta un3
miliardo di utenti, un miliardo di conversazioni, un miliardo di interazioni. In Tutto il mondo è in
linea, gli amici sono infiniti, la geografia e quindi lo spazio sono superati e i confini non esistono
più. Perchè non farlo anche io? E’ ciò che è venuto in mente a tutti quando nel 2004 sentivamo
parlare di Facebook, nato da Zuckemberg, studente dell’università di Harvard che riuscì ad
intrufolarsi come hackar nella rete della sua università e grazie all’acquisizione delle fototessere di
tantissimi iscritti proprio ad Harvard, estrapolate da archivi ‘segreti’, creò Facebook. Quest’ultimo
dava la possibilità di votare i più belli e i più brutti di Harvard e gli consentì quindi di aggregare
intorno a sè migliaia di persone in pochissimo tempo, aprendosi la strada ad un successo mondiale
che sarebbe arrivato nel giro di pochi anni in tutto il mondo.
Come Whatsapp, è facile iscriversi a Facebook, basta registrarsi inserendo i propri dati poi si
effettua il login e alla fine si è inseriti in quel mondo. Un mondo a parte, un mondo dove piovono
amici, conoscenti e anche sconosciuti, amici di amici.. La definizione principale che viene data a3
Facebook è quella di ritrovare persone che facevano parte del nostro passato e che poi per motivi
vari si sono separate da noi, e con Facebook si può rincontrarli, rintracciarli.
L’ultima indagine della Zokem Research condotta per conto della Wireless Intelligence ha
raccolto dati nei quali si nota che in media ogni mese i possessori di smartphone passano 667 minuti
a scaricare e a divertirsi con le applicazioni contro i 671 minuti passati a scrivere e inviare gli sms.
Le telefonate prendono 531 minuti, mentre la navigazione sul Web sarebbe ferma a 422.
Se si continua con la ricerca, si vede anche come i software per mobile legati ai social network ad
esempio rappresenterebbero il 32 per cento dello scambio fra smartphone e reti di telefonia mobile,
mentre quasi il 57 per cento sarebbe appannaggio dei software multimediali legati
all’intrattenimento. Con in testa, rispettivamente, Facebook e YouTube. Entrambi sarebbero presenti
sotto forma di applicazione in oltre il 30 per cento degli smartphone in circolazione.3
Un’altra ricerca invece, di Comscore ha rivelato che ad agosto 2010 gli utenti americani
hanno passato il 10% del tempo di navigazione su Facebook, superando le pagine di Google (9,6%)e di Yahoo! (9%).
Oggi si parla infatti sempre più di Generazione 2.0, quella sempre connessa.
Tutto questo ci spiega come il mutamento non sia più una fase transitoria ma è una
condizione permanente, in effetti, vi è una progressiva rapidità di espansione e di uso dei nuovi
strumenti di comunicazione che caratterizza lo scenario di oggi.
L’attuale scenario tecnologico è caratterizzato da un cambio di paradigma: l’equilibrio mass-
mediale viene progressivamente messo in discussione dall’affermarsi delle nuove tecnologie
dell’informazione e della comunicazione che, grazie alle caratteristiche che li contraddistinguono
dai media tradizionali, stanno ridisegnando la sfera d’azione dell’individuo.
La verità è che siamo sempre più social e giorno per giorno capitalizziamo amici. Ma quanto
questi amici sono davvero quelli che vediamo, con i quali usciamo?
Queste sono le critiche che si fanno a tutti i social e in modo principale Facebook. Si parla infatti3
della creazione di un nuovo gruppo sociale:i social friends, ovvero gli amici del web, che siano
quelli che vediamo anche nella realtà o che siano le vecchie conoscenze perse di vista e ritrovate
poi. Non è detto che essi siano quelli che vediamo anche nella realtà o che siano le vecchie
conoscenze perse di vista e ritrovate poi. Gli amici aumentano, aumentano per far vedere agli altri,
al web che anche noi siamo popolari, che anche noi ci divertiamo e che anche noi valiamo qualcosa.
Ma la verità è che non sempre il web è lo specchio della realtà, molto spesso nonostante il numero
di amici aumenti, ci accorgiamo di essere soli.
Una ricerca australiana promossa dal professor David Baker ha messo in luce come il
numero dei social friends sia inversamente proporzionale agli amici reali, quelli con cui si ha
effettivamente a che fare andandoci a cena, a lezione.
Si tratta dunque di un fenomeno sociale che va capito, studiato e analizzato per poter evitare che vi
siano casi di esclusione sociale.3
Da qui nasce il termine “comunicazione di crisi” che sta ad indicare come nei media digitali
sia più difficile mantenere la reputazione infatti gira tutto intorno alla web reputation sul volume
(quanto si parla di me ad esempio), e sul sentiment (come si parla di me) sul web. Il problema della
web reputation è diventato quasi una fissazione per tutti in quanto bisogna sempre dimostrare agli
altri “che anche noi..” e che il web è lo specchio della propria realtà. E questo perché? Perché
ritorna quella voglia e quel bisogno di essere protagonisti, di volersi sentire al centro degli interessi
altrui perché reputazione e fiducia sono collegate. E il fatto di esserci sempre è il primo passo per
fidelizzare, per avere una rilevanza online.
La verità non è sempre questa e molto spesso nonostante il numero di amici aumenti, ci accorgiamo
di essere soli e questo è stato sicuramente causato dai social network.
In conclusione ho voluto dimostrare come e quanto Facebook e Whatsapp siano divenuti
oggetto di culto cambiando così le nostre abitudini sociali e diventando mezzi primordiali e quindi
necessari e più in generale, strumenti totalizzanti.
La domanda che mi pongo è: dove arriveremo?
Si ha sicuramente paura dell’isolamento totale perché fondamentalmente in rete si è soli. E3
quindi l’essere presente in rete è visto come un modo di affermarsi attraverso l’uso delle tecnologie
che consente all’uomo solo una migliore e diversa interiorizzazione di sé.
Recentemente ho letto questo tweet che credo calzi a pennello con la mia tesi: “Un giorno forse ci
pentiremo di esserci raccontati a degli sconosciuti o forse li ringrazieremo sempre per averci fatti
sentire un po’ meno soli”. I social network come ogni cosa del resto, vanno quindi usati ma senza
prenderli troppo sul serio.
Perché quanto è giusto far vedere agli altri tutto ciò che si fa, tutti i posti che si visitano, tutto ciò
che ci circonda? Non crediamo che ci debba essere un limite nella condivisione col pubblico?Il mio messaggio finale è che bisogna usare la ratio perché ciò che sembra facilitarci la vita
da un lato, dall’altro potrebbe rivelarsi rischioso.
Biosogna dunque sempre tener conto che la realtà virtuale va separata da quella reale anche se in
rete sembra essere tutto più facile: l’essere ascoltati, lo sfogarsi, l’aprirsi spesso tutto questo non è
dettato da una reale intesa ma da una distanza e dalla barriera offerta dal social network (Facebook)
o dalla chat di Whatsapp. E questo porta inevitabilmente a rischi che vanno affrontati ponendo
anche dei limiti e delle regole dettate, più che dalla legge, dal buon senso comune.3
I Social Network fino a pochi anni fa non c’erano, e ci vorranno moltissimi anni prima che si formi
una coscienza collettiva nell’uso degli stessi, e una educazione parallela a quella reale, che possa
essere calzante sui social.
La legge sarà ancora più lenta nel seguire le anomalie, i cambiamenti repentini e le situazione che si
rincorrono in un mondo in continuo mutamento.
Ci vogliono la responsabilità e la coscienza adatta ad un grande potere, il potere delle masse.
E questo cambiamento deve nascere dalle nuove generazioni, oggettivamente le più numerose ed
influenti all’interno di un ecosistema in continuo e fluido cambiamento.3
Lucrezia Fratocchi